Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto di aver candidato il presidente americano Donald Trump al Nobel per la pace.
Durante la cena dei due leader in corso alla Casa Bianca, Netanyahu ha consegnato a Trump una lettera da lui inviata al comitato per il premio. “Mentre parliamo sta forgiando la pace in un Paese, in una regione dopo l’altra”, ha detto il premier israeliano.
Hamas “vuole un cessate il fuoco” nella Striscia di Gaza, secondo il presidente americano. “Vogliono incontrarsi e vogliono raggiungere” una tregua, ha detto Trump ai giornalisti alla Casa Bianca quando gli è stato chiesto se gli scontri con i soldati israeliani avrebbero fatto fallire i colloqui in corso a Doha.
Interrogato sul suo precedente piano di ricollocazione dei palestinesi, Trump ha girato la domanda al premier israeliano. Netanyahu ha affermato che il presidente Usa sostiene la “libera scelta” e che Israele sta collaborando con gli Stati Uniti per trovare altri paesi in cui i palestinesi sfollati possano vivere.
La giornata di ieri:
Chiudere il negoziato sulla tregua a Gaza dopo la fumata nera del primo round a Doha, discutere di “un accordo permanente” con l’Iran e allargare gli Accordi di Abramo, a partire dalla Siria: è il menu della cena nella Blue Room della Casa Bianca tra Donald Trump e Benyamin Netanyahu, al loro terzo incontro dopo il ritorno del tycoon alla Casa Bianca. L’ultimo risale al 7 aprile, quando Bibi pensò di sbarcare come primo leader straniero a siglare un accordo sui dazi, ma fu gelato dal presidente, che nello Studio Ovale gli rivelò il vero motivo dell’invito: la ripresa dei negoziati con Teheran sul nucleare.
Questa volta niente Studio Ovale, nessun media e nessuna conferenza stampa congiunta, cancellata dal programma. Il momento e i dossier appaiono troppo delicati per mettere in piazza eventuali divergenze. E nel frattempo Trump ha fatto un assist cruciale al premier israeliano, dando disco verde ai raid Usa sugli impianti nucleari iraniani durante la ‘guerra dei 12 giorni’ con Israele. Oltre a chiedere la fine del processo a Bibi per corruzione, una gigantesca interferenza negli affari interni di uno Stato sovrano. Ora quindi pensa di poter vantare un credito e che Netanyahu debba mettere fine alla guerra a Gaza, tassello indispensabile per la de-escalation in Medio Oriente, la riapertura dei negoziati con Teheran e l’estensione degli Accordi di Abramo. Per Bibi si tratta di un difficile equilibrio, tra le richieste del suo alleato americano e le minacce dei partiti di estrema destra della sua coalizione, che hanno in mano le chiavi della sua sopravvivenza politica e che si oppongono alla fine della guerra finché Hamas non sarà eliminato completamente.
Un alto ufficiale delle forze di sicurezza di Hamas ha dichiarato alla Bbc che il gruppo armato palestinese ha perso circa l’80% del controllo sulla Striscia di Gaza e che i clan armati stanno colmando il vuoto. “Siamo realistici: non è rimasto quasi nulla della struttura di sicurezza. La maggior parte dei leader, circa il 95%, è ormai morta… Le figure attive sono state tutte uccise”, ha detto. “Quindi, cosa impedisce a Israele di continuare questa guerra?”, ha aggiunto.
Israele ha respinto il sì condizionato di Hamas alla proposta di tregua Usa, ma ha accettato di continuare a negoziare a Doha con la mediazione di Egitto e Qatar. Il primo incontro è finito senza svolte, ma si continua a trattare. “Penso che il dibattito con il presidente Trump possa certamente contribuire a far progredire quel risultato, che tutti noi auspichiamo”, ha detto un conciliante Netanyahu prima di partire. Alla vigilia del loro incontro, Trump si è detto “molto ottimista” sulla possibilità di avere una tregua questa settimana, ma ha riconosciuto che “le cose possono cambiare da un giorno all’altro”. Uno dei nodi resta se la tregua possa diventare il preludio di una pace, con il ritiro delle forze israeliane da Gaza, come chiede Hamas. Ma non si intravede ancora un piano realistico per il futuro della Striscia: gli Usa sono ancora incagliati nel progetto per una Riviera del Medio Oriente. Di questo e di altro Bibi ha parlato anche con l’inviato Steve Witkoff e con il segretario di Stato Usa Marco Rubio.
In agenda pure l’Iran: Trump punta a un accordo con Teheran, il premier israeliano resta però diffidente. Il tycoon è inoltre in pressing per Damasco: mentre Israele si è dimostrato cauto nel trattare con il nuovo regime in Siria, l’amministrazione Trump lo ha pienamente sostenuto (rimuovendo sanzioni e designazione terroristica). Intanto il governo libanese sembra avere un maggiore controllo sulla parte meridionale del Paese controllata da Hezbollah fino alla decapitazione della leadership da parte di Israele, aprendo la porta a potenziali legami meno tesi tra Gerusalemme, Beirut e Damasco.
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